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La nascita del servizio postale italiano in Etiopia

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Busta Etiopia giugno 1936

All’alba del 5 maggio 1936, le colonne motorizzate del maresciallo Pietro Badoglio attraversarono gli ultimi chilometri che le separavano da Addis Abeba. La capitale dell’Impero etiope, abbandonata precipitosamente dal negus Hailé Selassié pochi giorni prima, giaceva semi-deserta, avvolta dal fumo degli incendi che avevano devastato interi quartieri. Nelle strade ancora percorse da saccheggiatori e gruppi di sbandati, le truppe italiane iniziarono a prendere possesso della città, issando il tricolore sui palazzi governativi.

La conquista di Addis Abeba segnava la fine di una guerra breve ma brutale, combattuta con mezzi moderni contro un nemico coraggioso ma tecnologicamente inferiore. L’uso dei gas, i bombardamenti aerei, la superiorità meccanizzata avevano piegato la resistenza etiope in sette mesi, ma avevano anche isolato l’Italia fascista sulla scena internazionale. Le sanzioni della Società delle Nazioni erano ancora in vigore, eppure il regime mussoliniano esultava: dopo secoli di umiliazioni coloniali, l’Italia aveva finalmente il suo Impero.

 

La proclamazione dell’Impero.

Quattro giorni dopo, il 9 maggio 1936, da Palazzo Venezia a Roma, Vittorio Emanuele III proclamò solennemente la nascita dell’Impero Italiano, assumendo per sé il titolo di Imperatore d’Etiopia. Le piazze italiane esplosero in manifestazioni oceaniche, orchestrate dal regime ma anche animate da un genuino entusiasmo popolare. Per milioni di italiani, l’Impero rappresentava il riscatto dalla povertà, la promessa di terre e opportunità, la grandezza ritrovata dopo secoli di divisioni.

La fondazione dell'Impero - maggio 1936

Estratto dalla Rassegna delle Poste, dei Telegrafi e dei Telefoni, n. 5 – maggio 1936 (fonte: Istituto di Studi Storici Postali “Aldo Cecchi”). L’edizione pubblicò i resoconti ufficiali della proclamazione dell’Impero e le prime disposizioni postali emanate dopo l’occupazione di Addis Abeba.

 

Da quel momento, l’Etiopia cessò formalmente di esistere come stato indipendente. Insieme all’Eritrea, colonia italiana dal 1890, e alla Somalia Italiana, acquisita nei primi anni del Novecento, formò la nuova entità amministrativa dell’Africa Orientale Italiana (A.O.I.), un territorio vasto quasi quattro volte l’Italia metropolitana, abitato da circa dodici milioni di persone.

Ma dietro la retorica trionfale, la realtà era assai più complessa. Il paese era nel caos: le infrastrutture distrutte dai bombardamenti o inesistenti, i collegamenti precari, l’amministrazione da costruire quasi dal nulla. E in mezzo a questo scenario desolante, uno dei primi servizi che le autorità italiane si affrettarono a ripristinare fu proprio quello postale.

 

I primi giorni: organizzare il caos.

Tra gli edifici che vennero riaperti nei primissimi giorni dopo l’occupazione ci furono gli uffici postali della capitale. Non si trattava solo di una necessità pratica, permettere ai militari e ai civili italiani di comunicare con la madrepatria, ma anche di un gesto simbolico: dimostrare che l’Italia era in grado di “far funzionare” l’Impero appena conquistato.

La posta era sempre stata, in ogni impero moderno, uno dei pilastri dell’amministrazione coloniale. Trasmettere ordini, ricevere direttive, mantenere i contatti commerciali e familiari: tutto passava attraverso le lettere. E in un’epoca in cui il telefono intercontinentale era ancora un lusso rarissimo e il telegrafo limitato ai messaggi brevi, la corrispondenza ordinaria rimaneva il mezzo principale di comunicazione a distanza.

Gli ufficiali del Genio Militare presero in consegna i locali dell’ex ufficio postale etiope, un edificio modesto ma funzionale nel centro di Addis Abeba. Furono installati i primi timbri provvisori, predisposte le cassette per la raccolta della corrispondenza, organizzati i primi collegamenti con Asmara, il grande nodo postale dell’Eritrea che sarebbe diventato per mesi il vero centro direzionale della posta dell’A.O.I.

 

Le prime tariffe provvisorie (10–31 maggio 1936).

Il 10 maggio 1936, appena cinque giorni dopo l’ingresso ad Addis Abeba, il Bollettino delle Poste e Telegrafi n. 22 stabilì le prime tariffe provvisorie per la corrispondenza in partenza dall’Etiopia. Il linguaggio burocratico del decreto nascondeva l’urgenza e l’improvvisazione di quei giorni:

«Con effetto dal 10 maggio 1936 sono istituite in via provvisoria le seguenti tariffe postali per la corrispondenza proveniente dai territori dell’Etiopia occupata e diretta in Italia e nelle colonie:

– Lettera per via aerea fino a grammi 20: L. 1,45
– Raccomandazione: L. 0,25.»

Una lettera raccomandata diretta in Italia costava dunque complessive L. 1,70, una cifra che oggi può sembrare irrisoria, ma che allora rappresentava quasi una giornata di paga per un operaio. Eppure, in quei primi giorni caotici, molti soldati, funzionari e primi coloni si affrettarono a scrivere a casa, desiderosi di raccontare l’impresa appena compiuta e di rassicurare i familiari lontani.

Busta Etiopia maggio 1936

Busta inviata da Addis Abeba a Roma il 18 maggio 1936, 9 giorni dopo l’annessione dell’Etiopia al Regno d’Italia (catalogo Longhi 3561)

 

Il dettaglio più significativo di questa prima fase era l’assenza di un collegamento aereo diretto tra Addis Abeba e l’Italia. Le lettere venivano raccolte nella capitale etiope e poi inoltrate, per via aerea o terrestre, a seconda della disponibilità dei mezzi, fino ad Asmara, la capitale dell’Eritrea, che fungeva da grande snodo logistico e postale. Da Asmara, la corrispondenza veniva imbarcata sulla linea regolare dell’Ala Littoria, la compagnia aerea di bandiera italiana, che collegava l’Africa Orientale all’Italia attraverso un percorso spettacolare e tecnologicamente all’avanguardia per l’epoca.

 

La “via dell’Impero”: il percorso dell’Ala Littoria.

Nel 1936, l’Ala Littoria rappresentava l’orgoglio dell’aviazione civile italiana e uno degli strumenti più efficaci della propaganda fascista. Fondata nel 1934 dalla fusione di diverse compagnie minori, era una delle poche linee aeree europee in grado di operare collegamenti intercontinentali regolari.

La linea “Africa Orientale” seguiva un itinerario che ancora oggi appare impressionante:

Asmara – Khartoum – Cairo – Creta – Brindisi – Roma

Si trattava di un viaggio di circa quattro giorni, con scali tecnici in territori allora sotto controllo britannico, come il Sudan anglo-egiziano e l’Egitto, in un delicato equilibrio politico con Londra che, pur ostile all’Italia dopo l’aggressione all’Etiopia, tollerava il sorvolo per ragioni commerciali.

Gli aerei utilizzati erano soprattutto trimotori Savoia-Marchetti S.73, robusti velivoli da trasporto capaci di coprire lunghe distanze, e talvolta Caproni Ca.133, impiegati sui tratti più brevi. I piloti dell’Ala Littoria erano veterani dell’aviazione militare, abituati a volare su rotte insidiose, attraverso tempeste di sabbia nel deserto sudanese e turbolenze sul Mediterraneo.

Le lettere partite da Addis Abeba in quei primi giorni percorrevano dunque un itinerario misto: un primo tratto interno, spesso su piccoli aerei militari o su automezzi, fino ad Asmara; poi il grande balzo verso nord, attraverso il deserto nubiano, la valle del Nilo, il Mediterraneo orientale, fino all’approdo finale a Brindisi o direttamente a Roma Littorio, il moderno aeroporto della capitale.

Era la “via dell’Impero”, come la propaganda la chiamava con enfasi retorica, ma era anche una realtà concreta: per la prima volta nella storia, l’Italia era collegata alle sue colonie africane attraverso una rete aerea regolare, capace di trasportare non solo posta, ma anche passeggeri, merci e, cosa fondamentale in tempo di pace instabile, truppe e rifornimenti.

 

L’organizzazione amministrativa dell’A.O.I. (1° giugno 1936).

Mentre la posta iniziava a muoversi, il regime lavorava febbrilmente all’organizzazione amministrativa del nuovo Impero. Il 1° giugno 1936, con il Regio Decreto n. 1019, venne ufficialmente istituita la struttura dell’Africa Orientale Italiana.

Il territorio fu diviso in sei governatorati:

  1. Scioa (con capitale Addis Abeba)
  2. Galla e Sidama (regioni meridionali)
  3. Harar (est, verso la Somalia)
  4. Amara (nord-ovest)
  5. Tigrè (nord)
  6. Eritrea (con capitale Asmara)

A capo dell’intera A.O.I. fu posto il Viceré, con poteri amplissimi, una sorta di alter ego del Re-Imperatore in terra africana. Il primo viceré fu lo stesso maresciallo Badoglio, sostituito pochi mesi dopo dal generale Rodolfo Graziani, figura controversa e spietata che avrebbe segnato profondamente la storia del colonialismo italiano.

Contestualmente all’organizzazione politica, furono assorbiti i servizi pubblici essenziali, tra cui le poste. Il Ministero delle Colonie a Roma assunse la direzione generale dei servizi postali, telefonici e telegrafici dell’A.O.I., coordinandosi con il Ministero delle Comunicazioni per i collegamenti con la madrepatria.

 

Le nuove tariffe definitive (dal 1° giugno 1936).

Con l’entrata in vigore della nuova struttura amministrativa, il Bollettino P.T. n. 26/1936 stabilì le tariffe definitive per la corrispondenza aerea dall’Etiopia:

«Con effetto dal 1° giugno 1936, le tariffe postali per la corrispondenza aerea proveniente dall’Etiopia e diretta in Italia sono così determinate:

– Lettera per via aerea fino a grammi 20: L. 1,80
– Raccomandazione: L. 0,25.»

Il totale per una lettera raccomandata diventava quindi L. 2,05, un aumento contenuto ma significativo rispetto alle tariffe provvisorie. Questa cifra compare su moltissime delle prime buste civili partite da Addis Abeba nei mesi successivi, ormai regolarmente affrancate con i primi francobolli coloniali e annullate con il timbro ufficiale “ADDIS ABEBA – ETIOPIA” che andava a sostituire il provvisorio “DIREZIONE POSTE ITALIANE (ADDIS ABEBA)”.

Busta Etiopia giugno 1936

Busta inviata da Addis Abeba a Roma il 19 giugno 1936, 19 giorni dopo l’entrata in vigore delle tariffe postali definitive (catalogo Longhi 3571)

 

La nuova tariffa rifletteva anche un miglioramento nei collegamenti: dal giugno 1936, infatti, la linea dell’Ala Littoria fu estesa fino ad Addis Abeba, eliminando la necessità del transito via Asmara per tutte le corrispondenze.

 

Il nuovo percorso aereo: Addis Abeba – Roma.

Dal mese di giugno, dunque, il percorso completo della posta aerea dall’Etiopia divenne:

Addis Abeba – Asmara – Cairo – Roma

Con una frequenza inizialmente bisettimanale, poi progressivamente aumentata, i trimotori dell’Ala Littoria partivano dalla nuova pista di fortuna allestita nei pressi della capitale etiope, facevano scalo ad Asmara per rifornimento e cambio equipaggio, proseguivano per Khartoum e Il Cairo, attraversavano il Mediterraneo orientale con scalo a Creta o direttamente verso Brindisi, e infine raggiungevano Roma.

Il viaggio completo richiedeva ancora diversi giorni, ma era straordinariamente rapido per gli standard dell’epoca. Una lettera imbucata ad Addis Abeba il lunedì poteva essere recapitata a Roma o Milano entro il venerdì o il sabato successivo, un vero miracolo se paragonato ai tempi della navigazione tradizionale, che richiedeva settimane.

La posta aerea divenne così il simbolo tangibile dell’Impero: un filo sottile ma resistente che univa la madrepatria alle nuove conquiste, che portava ordini e notizie, che permetteva ai coloni di restare in contatto con le famiglie, che trasmetteva l’illusione di un’Italia finalmente grande e moderna.

 

Conclusione: un Impero di carta.

Guardando oggi quelle prime buste volate da Addis Abeba nella tarda primavera del 1936, sembra di sfogliare il diario di un Impero appena nato. I francobolli somali ed eritrei, prestati per necessità, convivono con i nuovi valori dell’Etiopia italiana, simboli freschi di conquista. Sulle loro superfici ancora irregolari, tra annulli tremolanti e cifre scritte a mano, sospesi tra conquista e illusione, è rimasto impresso il respiro breve di un Impero.

Il servizio postale italiano in Etiopia funzionò, e funzionò bene, per appena cinque anni. Nel 1941, con la disfatta nella Seconda Guerra Mondiale, l’A.O.I. crollò sotto i colpi delle forze britanniche e l’Etiopia riconquistò la propra indipendenza. Di quell’Impero non restarono che rovine, risentimenti e, per gli storici e i collezionisti, centinaia di lettere che attraversarono l’Africa e il Mediterraneo in quegli anni tumultuosi.

Ma in quelle buste c’è molto più di un semplice documento postale: c’è la testimonianza di un’epoca, di un sogno imperiale costruito sulla violenza e destinato a dissolversi, di uomini e donne che vissero, spesso senza comprenderla fino in fondo, una delle pagine più controverse della storia italiana del Novecento.

 

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Dal 1993 mi occupo di filatelia e storia postale. Oggi metto questa esperienza al servizio dei collezionisti, offrendo perizie e certificazioni accurate su francobolli e documenti dell'area italiana.

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